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Lavoriamo a un brand trentino

Cari imprenditori piccoli-grandi-medi, Mazzalai ha ragione. Ci attendono anni durissimi. Pensavamo di stare su un altro pianeta e invece oggi scopriamo che siamo sulla barca-Italia: se fa acqua ci bagniamo anche noi. Come se ne esce? Ecco qualche spunto, da ex-imprenditore.

L’analisi: in Trentino si è espanso a dismisura il settore pubblico. Si sono creati obbrobri economici in cui la Provincia è di fatto proprietaria di aziende che hanno come unico cliente la stessa Provincia (ma al Festival dell’economia non si è mai parlato di schifezze del genere?). L’ente pubblico, nelle sue multiformi emanazioni, ha esteso i suoi tentacoli come una piovra fagocitando attività e progetti. Ha sottratto capitale umano alle imprese. Ha anestetizzato il mercato. Così molti imprenditori si sono seduti, accontentandosi di sopravvivere su commesse, su aiutini a pioggia... Ma oggi, che il pubblico soffre, manca una realtà imprenditoriale assertiva che si metta in testa al traino. E allora, quali percorsi virtuosi ci può indicare una visione “culturale” dei problemi?

Intanto noi, politici e cittadini, dobbiamo piantarla col dire di no a tutto. Visto che ci consideriamo mitteleuropei, ispiriamoci all´Austria e alla Germania. Lì sono più “verdi” di noi, ma non hanno paura di fare le cose: strade, centrali, strutture produttive, impianti per lo smaltimento rifiuti, alta velocità... Loro stanno solo attenti a farle bene, le cose: minimizzando l´impatto ambientale, ricercando il mantenimento dell’equilibrio ecologico, preservando la qualità della vita. Questo si chiama “sviluppo sostenibile” e rappresenta l´unica via per trovare la quadra tra esigenze economiche e necessità ambientali. La “decrescita felice”, di cui si riempono la bocca tanti santoni, è wishful thinking, è scambiare i sogni con la realtà. Decrescere implica un crollo a cascata di tutte le attività umane (perchè l´economia, volenti o nolenti, si trascina dietro tutto: sanità, scuola, sistema alimentare, artigianale, turistico...). Non si sa dove si va a finire quando si decresce e soprattutto nessuno dispone di una manopola per arrestare il processo, una volta innescato.

Se siamo d’accordo che serve la crescita per migliorare la nostra vita e quella dei nostri figli (specialmente se disoccupati), ingraniamo la marcia. Puntiamo su infrastrutture (sostenibili) che servono a rendere più spediti i traffici di uomini e cose. Conteniamo gli sprechi pubblici e gli interventi dispendiosi senza reali ricadute sul tessuto produttivo: solo così (e non con le ciance) potremo davvero abbassare l’IRAP. Sfrondiamo le normative farraginose che mettono i bastoni tra le ruote a chi dovrebbe dedicare tutto il suo tempo per produrre reddito e creare occupazione. Miglioriamo la legge provinciale 6, là dove aiuta i progetti con tecnologie innovative, affinchè non penalizzi l’accesso alle aziende meno capitalizzate e patrimonializzate. Sintonizziamo meglio la formazione al lavoro, aprendo con più coraggio le porte delle scuole alle istanze delle imprese (che chiedono sì preparazione tecnologica e conoscenza dell’inglese, ma anche capacità intellettuali di coordinare e fare sintesi). Incentiviamo le vetrine aziendali e professionali online, banche-dati ben concepite che consentano a prodotti e servizi trentini un’ottimale esposizione e rintracciabilità sulla rete. Facciamo dialogare, in un’ampia visione progettuale, le grandi eccellenze culturali e turistiche col contesto produttivo e creativo: mi riferisco al tessuto artigianale, alle imprese hi-tech, ai talenti artistici, alle menti più vitali e ricche di inventiva in campo ingegneristico, architettonico... fino alle espressioni più geniali del marketing... Insomma, lavoriamo tutti per un “brand trentino”! Ma alla svelta: più aspettiamo, meno risorse ci resteranno per farcela.

francesco pisanu - 29/09/13

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