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Inno di Mameli... ma basta!

E dagli con ´sto Fratelli d´Italia. Sono nato nella regione che ha redento la patria (Piemonte), vivo nella città redenta (Trento), discendo da stirpi sarde, sicule, veronesi e mantovane; mi piacciono il lambrusco emiliano e la chianina toscana... insomma mi è impossibile non sentirmi italiano. Eppure io quell´inno lì non l´ho mai retto. Quando ero piccolo seguivo le premiazioni sportive per ascoltare gli inni nazionali. C’era in loro qualcosa di affascinante, forse per quell’alone di storia che si portano dietro le loro movenze gloriose e demodè. Quello inglese era il mio preferito, ma anche il tedesco mi piaceva, composto da un grande musicista (Haydn)… Quando suonavano l´italiano mi pareva non reggesse il confronto. E mi pare anche oggi. E mi chiedo: è giusto che per confermare la propria italianità sia necessario imbeversi del nostro inno in ogni occasione pubblica e perfino a scuola? Ci va riconosciuta la capacità di operare delle scelte in base al nostro senso estetico. E per quanto mi riguarda l´inno di Mameli non lo canterei manco mi si parasse davanti Napolitano.

Spero di non passare qualche guaio. Viviamo in un paese spesso indulgente verso chi falsifica i bilanci ma che sa fare la faccia feroce se non sei in linea col patriottismo di facciata (cioè quello finto). Io lo dico: trovo che il nostro inno sia brutto. E passi per la musica, una marcetta, pacchiana ma in fondo orecchiabile, che evova Donizetti e il primo Verdi. Però il testo… Prendiamo l’inno inglese: "God save our gracious king, long live our noble king, God save the king!". E’ del 1745 eppure sembra quasi uno slogan pubblicitario e lo capisce anche uno che ha fatto il corso di inglese alla parrocchia. Per capirci qualcosa del nostro bisogna invece avere la laurea. Ma che vuol dire "cingersi con l’elmo di Scipio" o "stringiamci (!) a coorte"?

Morale: l’inno inglese dice le cose nella lingua della gente, perché in Inghilterra si è sempre scritto come si parla. Noi da secoli non sappiamo liberarci dal nefasto retaggio della Controriforma, dai barocchismi, dalla retorica del cortegiano, dalla frattura tra lingua popolare e gergo aulico delle elite… Così il nostro inno, come spesso le nostre leggi, i regolamenti, i discorsi di politici e funzionari sono intrisi di magniloquenze poco sensate. Bisognerebbe una buona volta affrancarsi dal dannoso ciarpame di retorica che ha sempre contraddistinto il nostro mondo istituzionale. E invece ci restiamo impantanati, incatenati a modelli del passato. Sostituiamo la vittoria con la ricerca scientifica, le coorti con lo sport, la morte con la salute, cingiamoci la testa con la cultura... e facciamo sì che nell´Italia si desti un nuovo sviluppo industriale senza schiavi ma con tanti posti di lavoro.

francesco pisanu - 02/03/13

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